Il Museo Egizio di Torino è forse la prima istituzione italiana a sperimentare nuove frontiere della ricerca scientifica nel campo dell’archeologia pubblica, con il ricorso al crowdsourcing, con una collaborazione con l’Institute of Archaeology dell’University College London (UCL).
La public archeology è una disciplina nata negli anni Settanta negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, che prevede lo studio e lo sviluppo di metodi e tecniche per ampliare il coinvolgimento diretto dei cittadini in attività di ricerca e produzione di dati archeologici.
Tra gli scopi ha quello di studiare il modo in cui archeologia e società civile dialogano. L’archeologia pubblica, di fatto, cerca di comprendere come la ricerca archeologica e i risultati siano trasferiti nel vivere contemporaneo, studiandone le implicazioni etiche, sociali, economiche e politiche.
Va da sè che Internet e le tecnologie digitali offrano nuovi spazi per farlo concretamente.
Questi obiettivi, infatti, si sono già concretizzati nel 2013 con l’apertura di Micropasts, una piattaforma tematica dedicata al crowdsourcing in archeologia, sviluppata da UCL, in particolare da Chiara Bonacchi (Ricercatrice di Archeologia Pubblica e Museologia) e Andrew Bevan (Professore di Spatial e Comparative Archaeology) in collaborazione con il British Museum, con la partecipazione di Daniel Pett, responsabile del Dipartimento Digital e Publishing del British Museum.
La piattaforma conta oggi più di 2.000 utenti in tutto il mondo.
Il Museo Egizio è ora presente su Micropasts con un’applicazione per la realizzazione di modelli 3D attraverso un processo di photomasking di oggetti appartenenti alle proprie collezioni, a cominciare dal cofanetto dello Scriba Regale e Sovrintendente al Palazzo, Djehuty-hotep, a cui seguiranno altri reperti differenti per materiale e tipologia.