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MIT: ciò che è stampato si cambia

I ricercatori del MIT hanno sviluppato una tecnica che consente di alterare gli oggetti stampati in 3D.

Il metodo comporta l’uso della luce per adattare la struttura chimica di un materiale stampato in 3D.

Questo consente la creazione di oggetti più complessi che possono essere stampati insieme, ammorbiditi o ingrandita.

In un documento pubblicato di recente ha come argomento la produzione additiva “vivente”: “Living Additive Manufacturing: Transformation of Parent Gels into Diversely Functionalized Daughter Gels Made Possible by Visible Light Photoredox Catalysis“.

Gli autori sono Mao Chen, Yuwei Gu, Awaneesh Singh, Mingjiang Zhong, Alex M. Jordan, Santidan Biswas, LaShanda T. J. Korley, Anna C. Balazs, and Jeremiah A. Johnson e il documento è disponibile sull’ACS Central Science Journal.

Nella stampa 3D tradizionale una volta stampati i polimeri plastici sono fissati in forma e struttura. Non sono cioè in grado di essere manipolati come invece possono le strutture viventi.

Il professore associato di Chimica del MIT, Jeremiah Johnson, dice che l’idea di fondo è che si potrebbe stampare un materiale e, successivamente, prendere quel materiale e, utilizzando la luce, cambiargli forma o farlo crescere ulteriormente.

Nello studio quando si fa riferimento all’oggetto modificato si parla di “figlia” e per l’originale di “genitore”.

Come in natura, il materiale di cui è costiuita la “figlia” è più morbido rispetto a quello del “genitore”, da cui eredita la termosensibilità e la reattività.

La tecnica di stampa 3D comporta l’aggiunta di monomeri che reagiscono alla luce. Il processo attualmente può avvenire solamente in assenza di ossigeno.

Recentemente i ricercatori del MIT hanno anche pubblicato uno studio relativamente alle proprietà del grafene come materiale più resistente stampabile in 3D.

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