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Sei tecnologie di spicco

Dalla stereolitografia al 3D Printing – Non esiste una tecnologia che sia in assoluto migliore delle altre. Per ogni applicazione va scelta quella più opportuna. Ecco come orientarsi.DSC_3644

Ci sono tecnologie che rimangono per anni in una ristretta cerchia di addetti ai lavori e poi all’improvviso cominciano a godere di una grande notorietà grazie a una fortunata definizione, ad accorte strategie di marketing e alla riduzione dei prezzi dei sistemi di base. È il caso della prototipazione rapida, che fino a quando si è chiamata semplicemente così è stata affare di service che preparavano prototipi e piccole serie per le industrie manifatturiere e poco conosciuta dal grande pubblico. Ora questa tecnologia è sulla bocca di tutti con il nome di Stampa 3D, una definizione che però si allargata a dismisura sino a comprendere le stampanti che partono da 1000 euro sino ad arrivare ai sistemi di rapid prototipyng e rapid manufacturing da centinaia di migliaia di euro. Una forbice enorme per applicazioni e player eterogenei: hobbisti, artigiani della produzione 3D, service di prototipazione per industrie. Ovviamente le caratteristiche dei prodotti ottenuti con questi sistemi sono altrettanto eterogenee, così come – per fare un esempio di un altro settore – un libro d’arte si può stampare indifferentemente con una macchina da stampa offset a sei colori, con una stampante digitale da arti grafiche o con un modello da scrivania a getto d’inchiostro. Con risultati e costi differenti in base a parametri legati al numero di copie che si vogliono ottenere, da una a un milione.

La stampa additiva in genere

La stampa 3D vera e propria, o 3D Print come chiameremo questa specifica tecnologia per distinguerla dal termine generico, è soltanto una delle numerose tecniche di prototipazione rapida per addizione ed è stata sviluppata dal MIT di Boston, che l’ha poi ceduta a Z Corporation (ora azienda parte di 3D Systems). Nell’uso corrente in realtà questo termine viene usato per dispositivi che impiegano molte altre diverse tecnologie additive. La definizione “stampa 3D” è insomma un cappello per stampare prodotti che vanno da una lampada di design in un unico esemplare alla pre-serie in cento esemplari di una maschera da sub. Con un unico comune denominatore: la tecnologia di stampa additiva (anche detta produzione a strati o processo additivo) invece che sottrattiva. Quest’ultima è quella tradizionale impiegata da sempre nell’industria meccanica per realizzare prototipi: da un blocco iniziale pieno una fresa esporta il materiale fino ad ottenere l’oggetto finito, che quando è complesso, con molte cavità, deve essere realizzarlo in più parti.  Ma ecco, più in dettaglio, le tecnologie, gli impieghi e le macchine per la stampa additiva tridimensionale, con la quale si possono ottenere oggetti di una complessità tale da non poter essere realizzati con la stampa sottrattiva.

Le principali tecnologie

Le tecnologie per la stampa 3D per addizione si differenziano in genere per i materiali impiegati e, soprattutto, per il modo di trattarli: per sinterizzazione tramite laser, per laminazione, per deposizione di materiali liquidi che vengono poi trattati con lampade a ultravioletti e così via. L’impiego di una piuttosto che l’altra è una scelta da valutare secondo una serie di parametri che sono molto variegati: la velocità di realizzazione del prototipo, costo finale, l’investimento necessario per la stampante, la resistenza, le finiture dei materiali adottati e così via. Allo stato attuale non esiste una tecnologia che vada bene per ogni impiego, tanto che la maggior parte dei service che offrono la prototipazione rapida sono praticamente obbligati a dotarsi di almeno tre o quattro sistemi differenti (come vediamo nell’articolo nelle prossime pagine). In linea generale le tecniche di stampa 3D (anche se più correttamente bisognerebbe parlare semplicemente di tecniche di prototipazione rapida per addizione) si possono suddividere in tre filoni basati sulla materia prima di partenza: polvere, liquido o solido. Alla categoria delle stampanti a polvere appartengono quelle a un componente basate sulla sinterizzazione laser selettiva (SLS) e quelle che usano polveri e legante (3D Print). Sul fronte delle tecnologie a materiale liquido vi sono da una parte quelle che si basano sulla fotopolimerizzazione tramite lampade UV o raggi laser e dall’altra quelle che stampano a getto (Multijet modeling e Drop on demand). Infine, i dispositivi per la stampa 3D che impiegano componenti di partenza allo stato solido si suddividono nei modelli che impiegano una tecnologia basata sull’incollaggio (LOM) o sull’estrusione (FDM). Vediamone ora più in dettaglio alcune tra le principali tecnologie di stampa per addizione.

Modellazione a deposizione fusa

La Fused Deposition Modeling (FDM), è stata sviluppata alla fine degli anni 80 da Scott Trump, cofondatore in seguito di Stratasys, produttore di macchine e materiali per la stampa 3D. La FDM è a tutt’oggi un marchio commerciale di Stratasys, anche se il suo brevetto è scaduto nel 2009 (una tecnologia simile è nota sul mercato anche come FFF, ovvero fabbricazione a fusione di filamento). I materiali che possono essere usati sono soprattutto ABS, PLA (polimero basato sull’amido vegetale che ha il vantaggio di essere più biodegradabile dell’ABS), PPSF (polyphenylsulfone), policarbonato e politermide. Un estrusore che si muove su tre assi riscalda questo materiale, in genere confezionato in rotoli di sottili filamenti, e lo deposita fino a costruire il modello. Il software di gestione della stampante è in grado di generare anche i supporti necessari per le parti a sbalzo e per sostituire le parti piene con telai in modo da rendere l’oggetto leggero e comunque resistente, risparmiando materia prima.

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3D Dimension Elite di Stratasys adotta la tecnologia di modellazione a deposizione fusa. Stampa in nove colori su termoplastica ABSplus

Sinterizzazione laser selettiva

Un’altra tecnologia importante è siglata SLS, Selective Laser Sintering. Anche i questo caso i vari brevetti che la compongono sono scaduti (quello fondamentale lo scorso febbraio, un altro nel 2006) o scadranno nel corso del 2014. È una tecnologia sviluppata dal ricercatore Carl R. Deckard dell’Università del Texas, inizialmente detentrice dei brevetti, con il supporto della Darpa (Agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti incaricata dello sviluppo di nuove tecnologie per uso militare). Tecnologie e licenze sono poi passate alla DTM Corporation e quindi alla 3D Systems. La SLS fa uso di un laser per sinterizzare (fondere) polveri termoplastiche, metalliche o silicee. La macchina stende strato dopo strato le polveri su una tavola che si abbassa progressivamente. Il principale vantaggio di questa tecnologia sta nel fatto che si possono impiegare vari tipi di materie prime (anche in grado di restituire elevate rese meccaniche e termiche) e che non sono necessari supporti perché è la polvere non sinterizzata stessa che provvede a sostenere i piani superiori. Questa polvere va rimossa alla fine del processo con un procedimento abbastanza semplice e veloce. Se si usano polveri metalliche o ceramiche è necessario migliorare le caratteristiche del manufatto con un trattamento termico. I prototipi realizzati con la sinterizzazione laser selettiva sono più resistenti e precisi di quelli ottenuti mediante stereolitografia, ma la loro finitura è tutt’altro che buona per la sua granulosità.

 

La moto elettrica Energica  EGO è stata costruita da CRP interametne con tecnologia SLS
La moto elettrica Energica EGO è stata costruita da CRP interametne con tecnologia SLS

3D Print

La tecnologia sulla quale tenere gli occhi puntati perché anch’essa sarà tra quelle che cresceranno di più è quella definita Stampa 3D (o 3D Print) in senso stretto. È la tecnologia più apprezzata dai makers che si sono dati cuore e anima alla fabbing o digital fabrication ed è considerata la più veloce in assoluto nel mondo della stampa tridimensionale (modelli fisici ricreati in meno di un’ora), oltre che essere il sistema più semplice ed economico per la realizzazione di prototipi. A questa tecnologia si rifanno molte delle stampanti 3D da scrivania più a buon mercato oggi. Molto simile alla SLS, è basata su normali testine per la stampa inkjet che spruzzano un liquido a base di colla, anziché inchiostro, su uno strato di materiale che può essere composto da amido, gesso o polvere ceramica. Anche in questo caso l’oggetto finale viene consolidato strato su strato. I pezzi ottenuti possono essere colorati, ma sono poco resistenti e ruvidi. La materia prima è poco costosa e non è tossica. Questa tecnologia è stata sviluppata e brevettata dai ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston nel 1993, che l’ha poi ceduta a Z Corporation, società acquisita nel 2012 da 3D Systems. Il brevetto originale parla di Dimensional Printing technology, indicata con il marchio registrato 3DP.

PolyJet

PolyJet, metodo avanzato di produzione additiva di proprietà di Stratasys, consiste in testine simili a quelle delle stampanti a getto d’inchiostro che depositano fotopolimeri a base acrilica o fotopolimeri elastomerici su strati sottilissimi che polimerizzano con luce UV. Le macchine stampano con strati da 16 micron e un livello di precisione fino a 0,1 mm per superfici lisce, pareti sottili e geometrie complesse. È l’unica tecnologia in grado di supportare un’ampia gamma di materiali con proprietà diverse: dalla gomma ai materiali rigidi, dai materiali opachi a quelli trasparenti. Tra i punti di forza di questa tecnologia citiamo la possibilità di realizzare prototipi in costampato anche di forme molto complesse, l’elevata precisione di stampa (± 0.1mm ogni dieci centimetri) e la velocità. I pezzi ottenuti hanno una resistenza inferiore a quelli realizzati con stereolitografia.

La società israeliana Object si è fusa con Stratasys, nella cui gamma ora sono presenti macchine come questa Object 1000 che lavora con tecnologia proprietaria PolyJet.
La società israeliana Object si è fusa con Stratasys, nella cui gamma ora sono presenti macchine come questa Object 1000 che lavora con tecnologia proprietaria PolyJet

MultiJet Printing

MJP è una tecnologia additiva messa a punto nel 2006 da 3D System per i propri sistemi appartenenti alla fascia professionale, quella mediana tra gli altri sistemi che la società americana classifica come personali e di produzione industriale. Il processo di stampa avviene per deposizione di strati di plastiche acriliche fotosensibili e di materiali di supporto che vengono rimossi con un processo di fusione e successivo lavaggio. La tecnologia di cambio fase con doppio materiale consente di produrre prototipi caratterizzati da eccellente finitura e di elevata definizione, adatti anche per verifiche estetiche e prove funzionali. I materiali impiegabili hanno buone resistenze alle alte temperature e sono robusti. I prodotti ottenuti possono essere perforati, incollati, verniciati, metallizzati o cromati.

Stereolitografia

Infine l’ultima tecnologia per la stampa 3d che citiamo è anche la prima tecnica di prototipazione rapida ad essere stata introdotta sul mercato: la stereolitografia (SLA). Si basa sulla polimerizzazione di una resina liquida per effetto di un laser che, focalizzato sul piano di lavoro mediante sistemi ottici, provvede a costruire il prototipo strato su strato. La stereolitografia consente di produrre pezzi con geometri complesse e con finiture di superficie migliori rispetto ad altri processi additivi. Non è una tecnologia che appartiene a un solo produttore e quindi è relativamente competitiva rispetto ad altre tecnologie per la stampa 3D. Per contro, i prototipi ottenuti sono più delicati rispetto a quelli realizzati con resine industriali e non sono adatti per collaudi funzionali. Il processo iniziale di polimerizzazione, che avviene mediante raggi UV, prosegue inoltre con la normale luce del sole e nel tempo i pezzi diventano fragili.

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