Che HP stesse preparando un ingresso “alla grande” nel mercato della stampa 3D è cosa di cui da tempo si parla. Nell’ottobre del 2014 la società fece il primo annuncio sul progetto, presentando sia la tecnologia, sia i razionali alla base del suo impegno in questo ambito: un prodotto professionale, pensato in una logica di ecosistema e studiato per rappresentare appieno le complessità della trasformazione digitale e di quanto si cela dietro il concetto di Industry 4.0.
Già all’epoca, la società aveva avvisato sui tempi: lunghi.
Un 2015 di studio per mettere a punto la tecnologia e un 2016 di testing prima di immettere sul mercato le prime macchine.
Il 2016 è arrivano finalmente anche le prime conferme sia sui tempi effettivi di rilascio, sia, soprattutto, su cosa HP è pronta a lanciare.
Non una ma due stampanti
Le prime stampanti 3D di HP arriveranno in ottobre per i mercati statunitense, canadese, e per l’Europa Occidentale. Gli altri seguiranno, più probabilmente con l’inizio del 2017.
Parliamo al plurale, perché gli annunci riguardano due machine: HP Jet Fusion 3D 3200 Printer, pensata per il mondo della prototipazione, e HP Jet Fusion 3D 4200, pensata sia per la prototipazione, sia per la produzione. Il primo rilascio riguarderà il modello di gamma superiore, mentre la 3200 dovrebbe essere disponibile con l’inizio del prossimo anno.
Come abbiamo avuto modo di sottolineare in altre occasioni, al centro dei nuovi annunci c’è una tecnologia sviluppata da HP, Jet Fusion, che lavora a livello di singolo voxel (il voxel è nella stampa 3D l’equivalente del pixel nella stampa tradizionale) ed è dunque in grado di sfruttare in un unico processo le diverse proprietà dei materiali, garantendo massima flessibilità operativa, con tempi e costi decisamente inferiori rispetto a quanto garantiscono di norma le stampanti professionali.
“10 volte più veloci a metà del costo” è il claim utilizzato da HP, che dichiara una capacità di 340 milioni di voxel al secondo per le sue macchine.
Dal progetto al prodotto
In una infografica nella quale HP spiega con estrema chiarezza il funzionamento della propria macchina, il processo viene riassunto in una serie di passaggi chiave.
Si parte infatti con la preparazione di un file di stampa, che nel secondo passaggio viene inviato alla stampante. Le soluzioni HP sono in grado di gestire più modelli in un solo ciclo di lavoro.
Il terzo passaggio prevede l’inserimento delle cartucce di materiali nella Processing Station del sistema, che si occuperà a sua volta del caricamento nella Build Unit.
La Build Unit viene successivamente rimossa dalla Processing Station e inserita nella stampante vera e propria, che si occuperà della realizzazione del pezzo, una volta dato il comando Start.
La Build Unit può essere ricollocata nella Processing Station per dar vita a un ulteriore ciclo di lavoro, mentre il ciclo di raffreddamento rapido chiude la fase di produzione e dà il via a quella di postproduzione.
L’estrazione è semplificata e i materiali di scarto sono mantenuti a livelli minimi.
Alta produttività, basso costo
Per quanto riguarda i prezzi, HP colloca le sue stampanti nella stessa fascia di prodotto della stampanti Fortus di Stratasys o Formiga di EOS, dunque macchine FDM o SLS, ma con un entry point di 130.000 dollari per la sola Printer, che diventano 155.000 una volta inclusa la processing unit.
Logica da ecosistema
HP tiene a sottolineare come la logica che sottende il suo impegno sul fronte della stampa 3D sia una logica da ecosistema e annuncia le sue collaborazioni con aziende del calibro di Autodesk, BMW, Jabil, Johnson&Johnson, Materialise, ProtoLabs, Shapeways e Siemens, per citare i primi con cui sta lavorando.
Per quanto riguarda invece i materiali, qui si parla di una Open Platform aperta ai partner che, come Arkema, BASF, Evonik and Lehmann & Voss, potranno sviluppare e commercializzare i loro prodotti, purché certificati dalla stessa HP, sullo Store dedicato.
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