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L’Abc della manifattura additiva

Le tecniche di produzione additiva, a differenza dei tradizionali metodi di produzione per asportazione di truciolo, consentono di disporre il materiale, sia esso un polimero o un metallo, in determinate posizioni fino ad ottenere il manufatto desiderato. Con lo sviluppo delle tecniche per la produzione additiva di metalli oggi è possibile realizzare componenti con elevata resistenza meccanica e che possono quindi essere direttamente utilizzati al posto dei componenti ottenuti con le tecniche tradizionali, come asportazione di truciolo e fusione. Queste proprietà offrono vantaggi rilevanti in applicazioni industriali di svariati settori, aeronautico e automobilistico in primis.

Additiva si, additiva no

ComponentiCome è noto la produzione additiva presenta vantaggi e svantaggi. I primi sono sostanzialmente dovuti al fatto che con queste tecniche è possibile realizzare componenti molto complessi, a volte impossibili da realizzare con le tecniche tradizionali. I principali problemi sono ancora legati alla relativa lentezza del processo di fabbricazione, alle finiture superficiali e alle tensioni residue del processo. Per massimizzare i vantaggi di queste tecniche di produzione occorre fare due considerazioni. La prima è che non tutti i componenti sono adatti ad essere realizzati mediante produzione additiva (o meglio non sono economicamente vantaggiosi), infatti componenti massivi, in cui sono presenti ampi volumi in cui il materiale è compatto, non sono economicamente vantaggiosi se realizzati con la produzione additiva. Invece beneficiano molto di queste tecniche strutture che potremmo definire “a bassa densità”, ossia componenti complessi in cui il volume “vuoto” rispetto al volume totale è molto elevato. La seconda considerazione è legata alla progettazione dei componenti, infatti la produzione additiva, consentendo di depositare il materiale solo dove serve è il metodo di produzione ideale per consentire l’ottimizzazione topologia dei componenti, riducendo al minimo il peso pur preservando determinate specifiche di resistenza e rigidezza.

Le strutture reticolari

Le tecnologie di produzione additiva, a differenza delle tecnologie di fabbricazione tradizionali, consentono di realizzare strutture reticolari (lattice) e alveolari composte da un insieme di elementi bidimensionali (travi) opportunamente orientati nello spazio. La disposizione e la densità di questo elementi può essere calibrata in modo tale da conferire al componente le proprietà meccaniche desiderate. La progettazione di questo tipo di strutture tuttavia non è attualmente supportata da strumenti di simulazione idonei a sostenere la complessità geometrica che le contraddistingue. Altro interessante ambito di applicazione delle tecnologie additive sono le strutture biomimetiche, con le quali il progettista tenta di rispondere ad un determinato requisito strutturale ispirandosi a strutture di origine naturale, la cui forma e distribuzione del materiale è frutto della millenaria evoluzione degli esseri viventi. Esempio in questo senso sono componenti a densità variabile come le ossa o il corallo, condotti di lubrificazione o raffreddamento distribuiti in modo capillare come nelle strutture vegetali. Negli ultimi anni, con il perfezionamento delle tecniche di produzione additiva e i maggiori investimenti per la ricerca in questo campo, si è potuto appurare quanto i risultati ottenibili tramite processi di ottimizzazione strutturale siano diventati facilmente realizzabili. L’ottimizzazione del design di un oggetto può condurre a notevoli miglioramenti nella forma e nelle caratteristiche finali dello stesso.

Tre vie per ottimizzare

Figura_1_Figura_2Le tecniche di ottimizzazione strutturale possono essere suddivise in tre categorie:
Ottimizzazione dimensionale: viene tipicamente applicata a strutture reticolari per trovare la sezione ottimale delle travi che la costituiscono, oppure a strutture a piastra per determinarne lo spessore ottimale. La forma della struttura rimane invariata.
Ottimizzazione di forma: in questo caso la forma della struttura viene modificata, mantenendo invariate le posizioni dei vincolo esterni (ossia i punti in cui la struttura è connessa con le altre parti di un dispositivo o di un assieme in genere). A differenza del caso precedente, durante il processo di ottimizzazione, viene modificato il modello strutturale di partenza e di conseguenza anche la distribuzione dei carichi.
Ottimizzazione topologica: non vi è una dimensione o una forma prestabilite. Vi è uno spazio di design all’interno del quale deve essere ottimizzata la distribuzione del materiale affinchè sia garantita la resistenza ai carichi imposti. Uno tra i più diffusi metodi di ottimizzazione topologica è il metodo SIMP (solid isotropic material with penalisation) che stabilisce una relazione tra la rigidezza degli elementi di una struttura e la loro densità. Per chiarire la distinzione fra questi tre approcci all’ottimizzazione strutturale, nella Figura 1 sono mostrate tre diverse geometrie che differiscono tra loro per la distribuzione di materiale ma sono tutte in grado di sopportare il carico imposto.

Cosa fa il software

I software di ottimizzazione, da un punto di vista concettuale, si basano sulla definizione di una funzione obiettivo, la quale descrive una delle proprietà strutturali del componente (per esempio, la massa complessiva del componente, oppure la sua rigidezza). Durante il processo di ottimizzazione si percorre la funzione obiettivo al variare di alcuni dei parametri di progetto (per esempio le dimensioni o la forma) fino a raggiungere il minimo assoluto (o relativo) della funzione stessa, che rappresenta la soluzione, anzi una possibile soluzione del problema.
Come si vede in Figura 2, in alcuni casi è possibile raggiungere univocamente la migliore ottimizzazione, in altri casi questo non è possibile con certezza essendo presenti più minimi locali. Questo rappresenta uno dei maggiori limiti dei software di ottimizzazione attuali, i quali non sono solitamente in grado di distinguere fra ottimizzazione assoluta o relativa. Un’ulteriore complicazione che può presentarsi nei problemi di ottimizzazione è che la funzione obiettivo non sia continua, bensì discreta, ossia presenti gradini o tratti indefiniti. Per questo motivo nel tempo sono stati introdotti diversi metodi di programmazione per la ricerca dell’ottimo, ognuno dei quali indirizzato a uno specifico problema.

La corsa agli algoritmi

A questo proposito, dalla fine degli anni 60, si iniziarono a sviluppare algoritmi di ottimizzazione strutturale a variabili discrete, capaci di risolvere problemi con funzioni obiettivo non continue. Si diffuse l’applicazione del metodo branch and bound che si basa sulla verifica sistematica di tutte le possibili soluzione del problema, fino a trovare la migliore. In generale, i principali metodi di ottimizzazione strutturale possono essere raggruppati secondo le seguenti categorie:
• metodo branch and bound: algoritmo di ottimizzazione inizialmente sviluppato per risolvere problemi complessi scomponendoli in sottoproblemi più semplici, poi applicato all’ottimizzazione strutturale attraverso la ricerca di tutte le possibili varianti dimensionali;
• metodi di linearizzazione: approccio che consiste nell’approssimazione di problemi non lineari in problemi lineari a cui sono applicabili i consueti metodi di ottimizzazione.

• metodo “simulated annealing”: è una semplice tecnica utilizzabile per trovare il minimo globale in problemi aventi più minimi locali (Figura 2). L’idea è di generare un insieme casuale di punti che si trovano nelle vicinanze dell’ottimo ipotetico e calcolare le soluzioni del problema in quei punti. Se il valore della funzione obiettivo ricalcolata nei nuovi punti offre una migliore ottimizzazione, il nuovo punto è considerato come punto di ottimo. La sostituzione del vecchio ottimo con il nuovo si basa su un approccio probabilistico.

• algoritmi genetici: con questi metodi si parte da un set di risultati generati in maniera casuale scegliendo tra i possibili valori che può assumere ogni variabile di progetto. Questo set di risultati dà luogo alla prima cosiddetta “generazione” (corrispondente alla prima iterazione del calcolo). A ogni soluzione del calcolo è assegnato un valore di “fitness” (che generalmente corrisponde al valore della funzione obiettivo). Migliore è il valore di fitness, maggiore è la probabilità che la soluzione “sopravviva” nelle successive generazioni. Vi sono poi altri metodi fra cui il metodo level set che permette di delineare i contorni fisici della struttura in esame e seguirne l’evoluzione durante l’ottimizzazione: durante le iterazioni essi sono liberi di modificarsi unendosi o separandosi per creare fori. I metodi di omogeneizzazione applicati all’ottimizzazione topologica permettono invece di raggiungere il design ottimo determinando la distribuzione migliore di un materiale composto da pieni e vuoti all’interno dello spazio di design.

*Andrea Mura è Assegnista di Ricerca presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale del Politecnico di Torino. È membro del comitato tecnico della rivista Organi di Trasmissione di Tecniche Nuove e del comitato editoriale delle riviste American Journal of Science and Technology e Journal of Mechanics Engineering and Automation. Fa ricerca su trasmissioni meccaniche e progettazione di macchine.

**Giorgio De Pasquale è Ricercatore presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale del Politecnico di Torino. Nel 2009 ha ricevuto il Premio Sapio per la ricerca dal Presidente della Camera dei Deputati e nel 2010 la menzione speciale della Sezione Italiana ASME. Nel 2013 e 2014 è stato visiting researcher al MIT di Boston. Fa ricerca su progettazione di MEMS, micro-meccanica sperimentale, energy harvesting, dinamica dei veicoli e interfacce uomo-macchina.

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