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L’Arco di Palmira realizzato in 3D è in Italia

La copia in scala 1:3 dell’Arco monumentale di Palmira realizzata dall’IDA, Institute for Digital Archaeology di Oxford e prodotta da Tor Art, azienda di Carrara specializzata in scultura, arte contemporanea e design anche con l’ausilio delle più avanzate tecnologie, è esposto da ieri in Piazza della Signoria a Firenze, che il 30 e 31 marzo ospiterà il primo G7 della cultura.

Costruzione ArcoRealizzata un anno fa utilizzando scanner, stampanti 3D e robot antropomorfi composti da parti meccaniche modificate da Robotmill, società satellite di Tor Art, la copia parziale del monumento costruito presumibilmente nel corso del regno di Settimio Severo tra la fine del II e l’inizio del III secolo d.C., e quasi completamente distrutto nell’ottobre 2015 dalle milizie di un gruppo jihadista, ha già fatto il giro del mondo campeggiando a Trafalgar Square, a Londra, nell’aprile del 2016, per poi approdare sei mesi più tardi al City Hall Park di New York e, giusto un mese fa, a Dubai, in occasione del World Government Summit 2017.

 

Dopo l’evento internazionale di Firenze «Passing through, moving forward», per la riproduzione in 3D dell’Arco di Palmira realizzata dalla factory toscana sarà la volta di approdare nella piazza San Graziano di Arona, cittadina sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, dove resterà fino al 30 luglio.

Ma nonostante sia indiscutibilmente diventato un simbolo globale del trionfo della cooperazione in materia di conflitti e dell’ingegno dell’uomo contro la distruzione insensata, l’opera realizzata da Tor Art non ha mancato di suscitare perplessità sulla corretta riproduzione dell’opera.
Palmyra_-_Monumental_Arch

Lo stesso Filippo Tincolini, fondatore del laboratorio Tor Art assieme a Giacomo Massari, aveva, infatti, già ammesso tempo fa, in occasione di un’intervista a cura di Andrea Barrica apparsa sul Giornale del Restauro, che «le foglie ornamentali sono state scavate sino a un certo punto perché non avevamo un’idea precisa di quanto potessimo andare a fondo».

Una restituzione filologica che neppure la collaborazione con lInstitute for Digital Archaeology di Oxford, incaricato della raccolta dei dati, ha contribuito fattivamente a realizzare.

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