La maggior parte dei prodotti elettronici soffre ancora oggi dei vincoli imposti dal dover alloggiare i vari cosiddetti electronics all’interno del dispositivo. Le varie tipologie dei contenitori sono tutte modellate a livello tridimensionale, ma l’elettronica è rimasta per lo più vincolata a un substrato dove i componenti si trovano tutti su un piano praticamente bidimensionale. La necessità di una svolta 3D la si intravede già a partire dai componenti attivi i cui package hanno intrapreso il percorso dei chip stacking.
Sicuramente una spinta arriva dalla necessità di avere un’elevata integrazione per accorciare i percorsi dei segnali, una seconda dall’avere componenti sottili e sempre più potenti. Sul piano tecnico il percorso ha richiesto lo studio di nuovi metodi di interconnessione a livello di chip, ma anche lo sviluppo di approcci ibridi come l’integrazione dei chip nei laminati.
È questo un insieme di applicazioni che ha coinvolto dal suo inizio il problema di dover trovare un compromesso tra i costi di produzione e l’accuratezza necessaria a questi processi. Da qui nasce l’esigenza di trovare alternative alla tecnologia tradizionale, in particolare per le produzioni di bassi volumi e che porta a sviluppare il concetto di 3D printed electronics. Il problema si pone tanto a livello di microchip quanto a livello di Pcb.
3D printed electronics: dal chip al Pcb
La Laser Induced Forward Transfer è una tecnologia che può sostituire diversi processi: un raggio laser è utilizzato per sparare gocce di materiale conduttivo sopra un substrato che gli si muove sotto. Il materiale conduttivo proviene da una lamina interposta tra la sorgente laser e il substrato. La dimensione dei depositi è inferiore rispetto all’apertura prodotta dall’energia del laser nel materiale donatore; questo impone di muovere donatore e substrato con velocità tra loro differenti rispetto al laser fisso, ciò per poter ottenere una sovrapposizione dei depositi che garantisca la continuità elettrica del deposito stesso. La dimensione dei depositi varia da 1 a 10 μm. Maggiore è la dimensione dei depositi nel caso della tecnologia inkjet o micro-dispensing, che arriva a 20-100 μm, ma che si riduce a 10-50 μm nella versione Aerosol jet. Al momento gli inchiostri inorganici a base di nanoparticelle di metallo disperse in una soluzione di solvente organico danno i migliori risultati in termini di conducibilità elettrica. Gli inchiostri a base di nanoparticelle di resina epossidica sono invece utilizzati per creare gli strati dielettrici.
Facciamo l’Aerosol
L’Aerosol Jet è una tecnologia di deposizione di materiale utilizzata nella stampa dell’elettronica 3D. L’aerosol jet printing si basa su un tipo di colloide disperso all’interno di un gas. Questa tecnologia offre la possibilità di stampare particolari elettronici di piccole dimensioni e parti strutturali e funzionali di complessi biologici su quasi ogni tipo di substrato. Il processo, brevettato, che è totalmente diverso dal getto di inchiostro tradizionale, utilizza una messa a fuoco aerodinamica per depositare vari materiali. Il processo Aerosol Jet prende avvio con l’atomizzazione dell’inchiostro (materiale di base), che deve essere portato alla temperatura di 80°C producendo microgocce dal diametro di uno o due μm; queste sono trascinate in una corrente gassosa nella testa di stampa. All’interno della testa viene introdotto un flusso anulare di gas pulito che avviluppa la nuvola gassosa con le microgocce di inchiostro, collimandole con precisione sulla superficie da stampare. Il flusso che risulta dalla combinazione dei due gas passa attraverso l’apertura di un nozzle conico che comprime il flusso di aerosol attraverso la sua apertura di soli 10 μm. Il getto di goccioline esce dall’apertura della testa ad alta velocità (circa 50 metri al secondo) e colpisce il substrato. Con l’inchiostro si possono creare le interconnessioni, gli strati dielettrici, i componenti passivi e quelli attivi. I depositi variano da un minimo di 10 μm a più di 10 millimetri di larghezza, con spessori minimi di 10 nanometri e massimi di 10 μm. A deposizione ultimata sul dispositivo, l’inchiostro è ulteriormente trattato perché gli siano conferite le caratteristiche elettriche e meccaniche desiderate. Il risultato finale è un film sottile con un’eccellente definizione dei depositi e proprietà simili alla produzione di massa.
La stampa 3D dei circuiti
Per avviare la produzione di circuiti stampati i centri di ricerca si appoggiano alla prototipazione rapida. Ma oggi la capacità di produrre direttamente e rapidamente prototipi elettronici funzionanti dovrebbe cambiare lo scenario del settore, riducendo i tempi di approntamento. Nano Dimension ha realizzato la DragonFly 2020 prima stampante 3D desktop capace di stampare circuiti elettronici. La stampante permette di risparmiare tempo realizzando Pcb su misura perfettamente funzionanti, anche multistrato. Particolarmente utile è il suo impiego nella prototipazione. Con la DragonFly 2020 è possibile stampare l’intera scheda o solo una sua parte, permettendo con ciò di testarne funzionalmente le caratteristiche. In poche ore è possibile stampare i Pcb senza ulteriori lavorazioni.